Napoli: il sacro e il profano, la fantasia e la realtà

Mag 24th

Essere nati a Roma complica, e non di poco, la capacità di stupirsi quando si va a visitare un’altra città. Con un patrimonio artistico senza eguali, centinaia di Chiese con caratteristiche e bellezze sconvolgenti, i resti delle varie epoche, quella cosa ingombrante e maestosa che si chiama Colosseo, altre migliaia di dimore storiche, la grandezza materiale e sostanziale di quello che si trova in città, onestamente mi è capitato più volte di arrivare nelle città d’arte italiane più belle e di pensare, come prima cosa, ah è piccola. Poi dopo magari apprezzavo tutto ciò che di artistico e natio poteva esserci, ma lasciarmi a bocca aperta, ecco no. C’è riuscita solo Parigi, finora, ma per motivazioni tutte diverse.

Quindi, lo dico sempre, quando vado da altre parti so di partenza che ben poco potrà sconvolgermi. Piacermi tantissimo, affascinarmi, assolutamente sì però c’è sempre una parte di me che dice sì, va bene, ma lavoro a trecento metri da piazza di Spagna.  Non me ne voglia nessuna città italiana, ma è un fatto che Roma sia talmente ricca da sviluppare una sorta di bonaria sufficienza rispetto ai tesori artistici altrui.

Detto questo, recentemente sono stata ospite di un’amica che più cara non si può, ovvero la mia fantastica Pasqualina, portandomi dietro La Pasionaria e son tornata da questa gita con una certezza: non vedo l’ora di tornare a Napoli.

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Siamo arrivate sul lungomare di pomeriggio, con un tempo grigio che non ci ha impedito di godere del Vesuvio e di tutto ciò che si affaccia su quel golfo. La Pasionaria non ha esitato: giù sulla sabbia a raccogliere conchiglie, che quello era lo scopo della giornata. E così, prima di avventurarci per la cena, ho visto il mare, ho fotografato, ho incontrato chi faceva un aperitivo con i taralli sugna e pepe e una birra, ho visto, invidiandoli un po’, i ragazzi passarsi i compiti poggiati sul muretto del lungomare. E tutto questo l’ho potuto fare con la guida di una persona del luogo, cosa, onestamente, imprescindibile: visitare Napoli con una persone che gli appartiene, è quanto di più adatto per addentrarsi nei suoi segreti. Non vorrei esagerare definendo Pasqualina la mia personale Beatrice ma ha indubbiamente aperto le porte del paradiso.

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La cena di benvenuto a Napoli è stata, tanto per non farsi mancare nulla, da Ciro Salvo al suo 50Kalò.

Ciro è un ragazzo gentile e disponibile, che si è messo anche a chiacchierare con noi nonostante una fila, fuori della sua pizzeria, degna di un concerto. Il bello è che, parola di Pasqualina, lì è così per la maggior parte della settimana. E io ci credo, considerando la qualità della pizza che abbiamo mangiato ( e giusto quei due fritti senza i quali La Pasionaria non sarebbe potuta sopravvivere). Io non ho avuto esitazioni e ho preso una margherita, che per me resta La pizza ma, come potete veder, non ci siamo fatte mancare altri spunti: tre donne da Ciro Salvo, ed è subito sfacelo.

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Siamo andate via, sapendo che però il vero giro sarebbe stato il giorno dopo. L’emozione era viva.

E Pasqualina ha deciso di portarci nella via detta Spaccanapoli, perché spacca letteralmente in due la città. Il posto più bello dove perdersi.

A Napoli ci si arriva con le visioni dei film, le cartoline, le impressioni altrui, con le notizie dei giornali. Napoli è tutto, ed è il contrario di tutto. E’ quel vicolo stretto fra due palazzi altissimi, che vedi nei giornali e in cui poi ti trovi a guardare in alto, mentre un motorino ti passa accanto. E quella commistione continua fra il sacro e profano, non capendo bene cosa sia più sacro e cosa più profano, perché basta girovagare in San Gregorio Armeno e guardare i personaggi dei presepi per trovare Papa Francesco e Lady Gaga, Belen e Rocco Siffredi vicino a Totti che si fa un selfie. Ma anche vicino alla natività più bella che un presepe possa immaginare.

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E’ quella concezione sacra del cibo, mai come in altri posti, per cui ad ogni angolo ti trovi decine di sfogliatelle, babà, crostatine con le fragole, panini, pizze, etc. E forse il napoletano doc va alle pasticcerie più famose  per prendere la vera sfogliatella ma quella che ho preso da un carrettino sulla strada, appena sfornata, a me sapeva vagamente di giardino dell’Eden. E’ quella confusione, quella vicinanza assurda fra antiquari e rigattieri, fruttivendoli, pescivendoli e negozi di porcellane preziose ti fanno perdere in modo piacevole.

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Senza dimenticare tutto quello che viene offerto ad un turista, perché poi la cosa è bella è che mi sembra che al turista medio, che si aspetta determinati cliché, venga offerto quel cliché e anche rafforzato: l’arte dell’arrangiarsi che si evidenzia nel “pensi che qui si vendano Pulcinella, corni, maschere e tamburelli? e io te ne do a volontà, anche quelli che non ti aspetti”. Ecco, a Roma vige una certa bonaria indolenza nei confronti dei turisti, come a dire vivo di rendita e osserva bene. A Napoli no, si offre al turista di tutto e di più, lo si cerca, lo si attira e il turista si sente coccolato e parte di tutto . E se, indubbiamente, ognuno fa il proprio lavoro e quindi un commerciante deve vendere, a Napoli se qualcuno ti vende qualcosa, è contento perché ti ha dato una cosa che gli piace, che ti farà pensare alla sua città e a lui.

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Ho mangiato cose indecentemente buone. Voi sapete la mia passione per i dolci e in quella passeggiata ho pensato bene di immolarmi al sacro culto della Sfogliatella riccia. E’ un duro lavoro ma qualcuno deve pur farlo. Pasqualina  si è immolata alla causa del babà, per non far torto a nessuno. Un cioccolatino Ministeriale ha fatto capolino fra una passeggiata e l’altra, mentre abbiamo deciso di lasciare gli altri dolci ad una futura gita.

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Fra le meraviglie artistiche della città è impossibile non segnalare il Monastero di San Gregorio armeno, aperto da pochissimo al pubblico e con una guida che da sola  vale il viaggio. Lei, una signora bravissima che ci ha fatto vagare fra i misteri del monastero e di una Napoli anche esoterica, con una simbologia da lasciare ammaliati. Andateci, ve lo consiglio col cuore e scoprirete che dietro una statua di una Madonna col bambino c’è molto più di quel che sembra. La cappella del Principe di San Severo è di quelle per cui non bastano aggettivi superlativi. L’unico problema è che  il Cristo velato, questa statua per cui più di un pittore avrebbe regalato dieci anni di vita, catalizza lo sguardo e il cuore di chi entra. Siate preparati. La Pasionaria è rimasta incollata alle Macchine umane e onestamente, io ancora non so dire con certezza se tutte le leggende che circolano  siano false o meno. Secondo me, il Principe di San Severo qualche esperimento su due poveretti lo ha fatto davvero.

Abbiamo camminato tanto, in quella giornata. E volgendo lo sguardo a destra e sinistra sembrava di vedere l’entrata di microcosmi diversi e inaccessibili. Era tutto un caleidoscopio di colori eppure quei posti si potevano vedere anche con occhiali in bianco e nero: ci ho provato e mi sembra che siano ricchi di sfumature lo stesso. Napoli a colori o Napoli in bianco e nero? Non so scegliere.

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Una risposta a questa domanda vorrei darmela quindi io, da romana abituata a ogni meraviglia, dico che ci torno presto. Molto presto.

Ah, sulla via del ritorno, per non farci mancare nulla, ci siamo fermate in un posticino di nostra conoscenza: indovinate dove. Vi lascio non uno ma due indizi!

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About the Author,

Maria Grazia Viscito, alias Caris, 39 anni, ingegnere, di Roma, con una grande passione per il cibo e la fotografia, cucina "per legittima difesa"